Fra tutti gli scritti che Gino Grimaldi pubblicò sul periodico Il Lavoratore Comasco fra il 1918 ed il 1922, quello dalla trama più coinvolgente è Miseria.
Si tratta di un racconto breve e struggente ambientato a Como nei primi del novecento che vede protagonisti due giovani, Massimo e Ninin: il primo orfano e violinista disoccupato, un bohemien ormai deluso dalla vita che lotta quotidianamente con la miseria, titolo emblematico del racconto, la quale, ossessionando Massimo, ne paralizza l’esistenza rendendolo incapace di un riscatto sociale.
Ninin è invece una ragazza gentile ed ubbidiente nei confronti dei genitori che, eccellendo negli studi, dopo la laurea, al contrario di Massimo, sembra incline a seguire le regole di una vita “ordinaria”.
I due si ameranno, di un amore iniziato ai tempi del Ginnasio, simbolico di un’attrazione tra opposti, ma che la povertà di Massimo ostacolerà.
Nonostante ciò, i due protagonisti rimarranno legati da un sentimento che sembra non volersi affievolire nel corso degli anni.
Tra i due, tuttavia, domina anche un terzo personaggio, la miseria appunto, rappresentante di un periodo storico sfavorevole che li condanna all’infelicità ed alla separazione.
È del tutto evidente che Grimaldi abbia attinto alla propria storia personale: l’ inclinazione artistica del protagonista e l’ambientazione del racconto a Como non possono non far pensare alle esperienze vissute dall’artista.
Novella Limite
Di seguito la versione estesa dell’appassionato articolo di Novella Limite
Fra tutti gli scritti che Gino Grimaldi pubblicò sul periodico Il Lavoratore Comasco fra il 1918 e il 1922, quello che maggiormente mi commuove, porta il titolo di Miseria. Si tratta di un racconto breve e struggente, le cui vicende si svolgono a Como, nei primi del Novecento e che ha come protagonisti due giovani, Massimo e Ninin.
Massimo è un violinista, orfano e disoccupato, un bohémmien ormai deluso dalla vita, che lotta quotidianamente con quella miseria che dà il titolo al racconto e che risulta subito la terza protagonista della vicenda, che ossessiona Massimo, paralizzandone l’esistenza, rendendolo incapace di un riscatto sociale;
Ninin è una ragazza gentile e ubbidiente nei confronti dei genitori, che eccelle negli studi, ma che, dopo la laurea, al contrario di lui, sembra incline a seguire le regole di una vita “ordinaria”. I due si amano, di un amore che dura fin dai tempi del Ginnasio, ma la povertà di Massimo non rende possibile la loro unione. Ciò nonostante, rimangono legati da un sentimento che sembra non affievolirsi nonostante il passare degli anni, finché, un giorno, Massismo, che vive a Como, riceve la visita di Ninin, in una giornata piovosa, che sottolinea i toni malinconici del racconto.
Tre personaggi, dunque, sui quali è necessario soffermarsi ancora e, se meno interrogativi suscita la terza protagonista della storia, quella miseria che dà il titolo al racconto stesso, quella miseria che può condizionare le vite di due giovani, condannandoli all’infelicità e alla separazione, è tuttavia necessario chiedersi: chi sono in realtà Massimo e Ninin? Grimaldi ha forse attinto dalla propria biografia per creare i suoi personaggi? E’ evidente che sia così.
Grimaldi inscerisce chiaramente dei tratti autobiografici nel personaggio di Massimo, che molto gli somiglia, sia per avere scelto la strada dell’arte, sebbene come musicista e non come pittore, sia per la permanenza nella città di Como (dove Grimaldi visse per alcuni anni), sia per le condizioni di indigenza che riguardano entrambi.
Così come avviene nel suo capolavoro pittorico La Carità di S Camillo, dove Grimaldi realizza un autoritratto, presentandosi in una duplice sembianza, anche nei suoi scritti, l’autore presenta una immagine di sé sdoppiata, riportando le vicende di un alter ego, in questo caso letterario. E se in pittura Grimaldi concede libero sfogo alla fantasia e al simbolismo, ritraendosi come nobile cavaliere del Graal e al contempo anche come essere deforme, nel contesto narrativo, invece, sceglie una rappresentazione realistica e attuale, quella di un giovane violinista disoccupato, caduto in miseria poiché ha cercato di farsi strada nella vita seguendo le proprie inclinazioni artistiche, andando infine incontro ad un fallimento, proprio come accade nella realtà dei fatti al giovane pittore e scrittore Gino Grimaldi. Sorprendentemente, a metà del racconto, l’autore inserisce però una digressione riguardante un altro personaggio: Abate Grimm, definito da Massimo come suo amico.
Ci è sufficiente controllare altri articoli comparsi sul lavoratore comasco negli stessi anni per appurare che Abate Grimm non è altro che un ulteriore pseudonimo usato da Grimaldi per firmare i propri scritti. E se questo espediente spesso si rende necessario per ragioni di prudenza inerente il carattere di denuncia sociale e politica di alcuni suoi articoli, in questo caso, Grimaldi si serve di Abate Grimm per comparire nel racconto anche nei panni di pittore, una artista sdegnato dall’egoismo e dall’ignoranza della società in cui vive. E’ questo peraltro il momento del racconto in cui l’autore stempera i toni malinconici co alcuni accenni ironici dietro i quali, tuttavia è chiara una spietata e amareggiata denuncia della società a lui contemporanea.
Che lussuose ville – fece Ninin – Sono impenetrabili mia cara come i conventi Tibetani. Sono vietati gli ingressi agli straccioni, ma possono però entrare anche dei cretini ben vestiti.
Ma si veda soprattutto il momento in cui il pittore, in cerca di uno scorcio sul lago per lavorare a un dipinto, descrive con toni sarcastici l’amarezza e la rabbia provata per essere stato accusato di avere violato una proprietà privata.
“E’ per questo, appunto, che io, signore, vilissimo e camuso abate Grimm, ho commesso un reato imperdonabile che potrebbe anche affrontare tutti i rigori dei codici universali! Ed è per questo, signore, che faccio piena sottomissione e saluto in voi l’erede nobilissimo di uno dei fondatori di una potenza legittima, intendo dire dei vostri avi illustri e potenti che con il diritto della loro forza si procacciarono dunque questi magnifici possedimenti. Diritto sacro, signore, sanzionato a traverso i secoli dai legislatori, protetto e confermato dai magistrati e benedetto dalle nostre Sacre Religioni perché ogni potenza “viene da Dio!” Ond’io vilissimo camuso, riconosco che devo rinunciare anche al dono della vista e conseguentemente anche al godimento estetico di questa piccola baia, adombrata e magnifica ed oso domandarle se avendo respirato involontariamente l’aria dei suoi domini, io potrei, per non incorrere in sanzioni penali, io potrei decentemente rivomitarla e restituirla? Lo posso?”
Non può fare a meno di commuovere il pensiero di un uomo colto, orgoglioso della propria arte, che viene così umiliato, trattato come un accattone proprio nel momento in cui si accinge a creare, a fare ciòè quello per cui è stato graziato dal destino e per cui dovrebbe essere lodato, ciò che di più caro e sacro gli rimane. La tendenza a proiettare nella propia arte, sia pittorica che letteraria, delle immagini multiple di sé, le quali tuttavia in letteratura sono accomunate da alcuni tratti basilari, è dunque chiara da parte di Gino Grimaldi e ben si presterebbe ad un’analisi di carattere psicanalitico. Anche la figura di Ninin suscita degli interrogativi. Essa sembrerebbe idealizzata, quasi sacrale, Massimo infatti la contrappone fortemente agli amori “facili e procaci” che hanno segnato il suo passato. Ma coloro che si sono addentrati nelle vicende biografiche di Grimaldi, le quali emergono dai documenti inerenti la vita del pittore, cioè la cartella clinica e i suoi rapporti epistolari, ove si evince l’orientamento omosessuale dell’artista, sono necessariamente portati a chiedersi: chi è dunque Ninin? E’ solo un personaggio del racconto Miseria, nato esclusivamente dalla fantasia dell’autore o piuttosto ispirato a qualcuno che ha avuto realmente un ruolo nella sua vita? La seconda ipotesi potrebbe trovare una risposta nella cartella clinica del pittore, risalente al secondo internamento al manicomio di Mombello, in cui leggiamo:
“piangente, non avrebbe voluto ritornare a Mombello …dice di non avere potuto resistere nella vita libera. Dice che è causa di un trauma che ha avuto da quattro anni. Si tratta di un matrimonio mancato (…) (sott.dice) il doloroso commiato con M., da me voluto ed imposto (senza precisare naturalmente le cause) lungi dal calmarmi ha provocato in me ed in Lei stessa un atroce dolore che s’è risolto per me in un continuo stato angoscioso e miserando (…) Non sposa M. Arcangeli, una maestra di Bergamo, per non farle condividere fame e miseria“.
Impossibile dunque stabilire che genere di amore abbia provato Grimaldi per la sua Ninin. E’ invece certezza che il suo sentimento rimane immortalato con struggente bellezza fra le righe di questo racconto. Miseria (da Il lavoratore Comasco, 20 settembre 1922)
Notte bianca. Essa verrà, pensava Massimo rivoltandosi nelle coltri e sogghignando amaramente – Così, soggiungeva, quando vedrà la mia miseria, ne avrà terrore e se ne andrà come tutte le altre. Ma come, come mai l’aveva conosciuta? Era stata una cosa davvero originale! Massimo aveva una sorella di quindici anni che frequentava il ginnasio ed egli stesso, allora, ne contava poco più di diciotto, un bel giorno, ebbe la fregola di fare improvvisamente la fidanzata e, tanto pe raggiungere al più presto lo scopo, senza tanti preamboli, ne chiese una a sua sorella, pregandola di indicare quache compagna di scuola.
La sorella (:::) staccò dalle pareti una grande fotografia ove erano aggruppate tutte le alunne della terza ginnasiale e puntando l’indice sulla testa di una ragazza seduta, disse: questa è la più buona, la più intelligente e la più brava della classe!
Massimo guardò un istante con un’occhiata volubile e calcandosi la magiostrina in testa: Bene – disse – la copia mi piace, ma ora voglio confrontarla con l’originale. Dove e quando potrei vederla? ⁃ In piazza Baroni, a mezzogiorno, quando essce dallo stabilimento dove è impiegata. E fu così che il violinista Massimo conobbe Ninin. Ma Ninin era seria, attiva, studiosissima. Entrambi poi giovanissimi, Massimo frequentava il Conservatorio.
C’era tempo! Mamma non avrebbe permesso un fidanzamento tanto lungo. E così si lasciarono senza eccessivi rimpianti. Poi lui, tanto per rifarsi, ne cercò delle altre più condiscendenti, conobbe gli amori facili e procaci, prese una cotta per una civetta, s’ammalò seriamente e infine giurò e spergiurò di non pensare più alle donne.
Terminati gli studi e morto il babbo, estinto in breve il magro peculio paterno, Massimo si trovò tutto ad un tratto sperduto nel mondo e deluso dell’arte, della vita e dell’amore e così incominciò il suo calvario, con la vita errante e tribolata di un povero musicista, ricco d’ieali e forse d’igegno quanto povero di quattrini. Ma dopo molti anni di vagabondaggio artistico, sembrò che la sorte dovesse arridergli. C’erano finalmente delle brave scritture, c’era del lavoro, c’era finalmente la speranza di poter acciuffare un posto nel mondo.
E allora, trentenne, nauseato dagli amori volgari, sentì la nostalgia e della dolce poesia famigliare e ripensò con tenerezza a Ninin con tutta la saggezza illimitata di uno scapolo che conosce perfettamente il regno delle sue ragazze e delle sue pollastre.
Ninin intanto aveva delle novità. S’era laureata (come, come?) in lingua italiana all’Università di Padova. Essa che per concorrere a mantenere la famiglia aveva dovuto abbandonare gli studi. Si rividero dunque in un convegno cordiale ed affettuosissimo. Sembrava che tutto dovesse fluire in un buon matrimonio, ma, fatalmente, Massimo non ebbe più scritture, le cose si ingarbugliarono e la madre oppose un ferreo veto.
Così si lasciarono per la seconda volta con più lunga e triste amarezza. L’affetto sembrava estinto, ma non era che sopito. Dopo due anni di selinzio il carteggio era stato ripreso in un modo ancor più ardente e affettuoso.
“Mi trovo nella più squallida miseria, aveva scritto Massimio, ma Ninin aveva annunciata ugualmente la sua visita. Essa crederà che io abbia esagerato, pensava Massimo lavandosi indolentemente le mani, mentre suelle vetrate chiuse sbattevano il vento e la pioggia. E come farò a dirle che oggi, per esempio non ho neppure il pane, ma forse con questa pioggia avrà preferito rimandare ad altro giorno il viaggio ed io avrò il tempo di racimolare qualche soldo e far da cavaliere…ed ecco che mentre pensava, s’aperse la porta ed apparve Ninin. Ninin! Essa! Pallidina, delicata, irrreprensibile nel vestito, con lo sguardo umido di tenerezza e di bontà e con la sua cara voce carezzevole e argentina. Ohhhh! Ninin! Ora Massimo perdeva davvero le staffe! il pover uomo in maniche di camicia s’era allora appena appena alzato e un po’ per l’emozione e un po’ per l’umiliazione d’essere stato scovato in un ambiente così squallido e disordinato, sembrava avesse perso completamente il senso dell’orientazione. Perciò si aggirava nella minuscola cameretta col goffo incedere di un povero anatroccolo in cerca d’uscita, in preda a mille sentimenti ed in cerca degli occhiali che erano intanto divenuti comicamente irreperibili. Ma poi, dopo gli abbracci, Massimo si ricordò con terrore di non avere più un soldo e si abbuiò. Bisogna dirlo, pensò straziato e lo disse con semplicià, arrossendo. Ninin, con franco sorriso gli tese in silenzio le mani! La pioggia era cessata ed uscirono per visitare la città.
Ecco la cattedrale candida e magnifica dai tre grandi portali istoriati ed il meraviglioso rosone un innesto superbo di gotico e di rinascimento italiano come la Cà d ‘oro, merlettata di porfidi ed ecco la grande Torre quadrata e grigia; granitica , monumetale, romana, al duplice ordine delle ritmiche arcate e, più lontano, il profilo del Bardello, un rudere glorioso d’infamie e quindi di storia!
Ed ecco piazza Cavour, linda, civettuola, agghindata e laggiù la diga e dopo quella una grande montagna che è come un pugno nello stomaco per un artista, che ti rovina il lago e te lo trasforma in una pozzanghera. Ecco un po’ di archeologia: l’abside di S Fedele e la chiesa di S A bbooondio ed ecco, infine, vista tutta Como. Andremo a piedi a Cernobbio e colà pranzeremo! Proseguì Massimo senza calcolare che così potremo parlare più comodamente. Ora parlava Ninin “L’arte oggi era un lusso concesso a poci privilegiati. Bisognava sacrificarsi cercando qualche altra occupazione! Quale? Sbottava Massimo – se fossi capace di arrampicarmi sulle vetrate, credo che a quest’ora le avrei percorse tutte.
Occupazione? Ttrovarla! (e intanto si guardava l’abito nero pieno di frittelle) lo credo bene che mi riuscirebbe assai più facile di giungere al polo che di comprarmi un abito nuovo e per di più le automobiili ci inzaccheranno e me lo rovineranno completamente. Ohibò! Come potremo poi stasera recarci a villa d’Este inzaccherati come tanti paltonieri?
Che lussuose ville – fece Ninin – Sono impenetrabili mia cara come i conventi Tibetani. Sono vietati gli ingressi agli straccioni, ma possono però entrare anche dei cretini ben vestiti. Tu non sai Ninin, cosa accadde un giorno all’abate Grimm. Si trovava in questi paraggi e sceso per una piccola stradicciola che dava sul lago, si attendò per improvvisare uno studio dal vero.
Aveva appena iniziato il suo lavoro quando dall’alto di un soprastante muricciuolo comparse improvvisamente un giovanotto ben vestito che subito si pose a gridare: -Signore! -Signore! -Signore! – Fa di rimando, l’abate Grimm, – cosa onde mai è successo? ⁃ Signore! Ha letto, di grazia, quelle parole che sono incise sul primo gradino dell’entrata alla sommità della scaletta, venendo dalla strada provinciale? ⁃ No Signore, non l’ho veramente notato, ma non vedo… ⁃ Vedo io, signore, vi è suvvi scritto: proprietà privata ⁃ -ohhhhh!?!?!?! Ora fu la volta del povero Abate Grimm di stupirsi e di stordirsi. Ma fu un attimo! E cominciò prima di tutto a sprofondarsi in clamorose ed altissime scuse. Ma come mai non l’aveva notato prima! E perchè all’ingresso non c’era un piccolo o comunque un avviso che mettesse in guardia il vile passeggero innamorato delle bellezze artistiche diffidandone l’entrata? E come mai egli, zelantissimo, aveva potuto calpestare i diritti della sacra, reale, divina, intangibile proprietà! ⁃ Si tranquillizzi, si calmi, signore. Prosegua pure il suo lavoro. Io ho voluto solamente affermare un mio diritto.
⁃ E’ per questo, appunto, che io, signore, vilissimo e camuso abate Grimm, ho commesso un reato imperdonabile che potrebbe anche affrontare tutti i rigori dei codici universali! Ed è per questo, signore, che faccio piena sottomissione e saluto in voi l’erede nobilissimo di uno dei fondatori di una potenza legittima, intendo dire dei vostri avi illustri e potenti che con il diritto della loro forza si procacciarono dunque questi magnifici possedimenti.
Diritto sacro, signore, sanzionato a traverso i secoli dai legislatori, protetto e confermato dai magistrati e benedetto dalle nostre Sacre Religioni perché ogni potenza “viene da Dio!” ⁃ Ma Signore! ⁃ Ond’io vilissimo camuso, riconosco che devo rinuncare anche al dono della vista e conseguentemente anche al godimento estetico di questa piccola baia, adombrata e magnifica ed oso domandarle se avendo respirato involontariamente l’aria dei suoi domini, io potrei, per non incorrere in sanzioni penali, io potrei decentemente rivomitarla e restituirla? Lo posso? ⁃ Deve essere ameno questo tuo amico Abate? ⁃ Oh! -Fece Massimo – è divenuto verde anche lui! Egli ha quasi ragione. Ai ricchi tutto il mondo e ai poveri neppure il diritto del lavoro! ⁃
E intanto giunsero a Cernobbio. ⁃ Calava la sera ed un’infinità di dolci e cari ricordi si addugiavano e affluivano nella mente d’entrambi. Ora camminavano quasi abbracciati nel grande viale, tenendosi per mano guardandosi negli occhi quasi immaterializzati del loro amore grande e fedele. ⁃ Rammenti? – domandava Massimo a cui il tumulto dei ricordi faceva ressa alla gola e le care ricordanze evocate dagli amanti erano suscitatrici di nuove ed impensate commozioni. ⁃ Son rovinato ormai, disse Massimo mestamente, confrontando gli anni felici di lavoro, di giovnetù e di speranza.
Chissà mai mia piccola, mia cara, mia intelligente Ninin, se noi ci rivedremo ancora o se questa visita servirà solo per aumentare lo strazio del mio cuore per non poterti giammai fare mia! Questa è una sera invernale e noi non ci accorgiamo del vento, del cielo che è grigio, del lago che è mosso e di tutte le cose private del dono del sole e della luce.
Pure, oggi, c’è il sole perchè c’è la tua presenza, c’è la tua bontà, c’è la tua pietà, ma domani, quando tu salirai sul treno, io lo vedrò scomparire nel’orizzonte, io sarò solo e ripiomberò nella mia vita grigia, monotona e sterile, nella mia immonda camera ammobigliata, nella mia solitudine, nel mio sconforto, nel nulla.
Io mi sento morire privo di te che potresti essermi da guida e di conforto sorreggendomi in queste dure e vane lotte; questa lotta eterna esasperante e snervante, questa lotta al coltello per il pane!
E’ la miseria, Ninin, che raggiunge i poveri disoccupati che si dibattono dagli stento di lunghi anni! Essa mi raggiungerà, lo sento. Essa è là, con i cenci luridi e sporchi, con le scarpe sdrucite, giallognola e magra come un fantasma. Ma non è un fantasma, è una realtà che ti stritola e ti vuole deformare anche l’anima, ma l’anima non si deforma, essa piuttosto muore! ⁃
Nulla vi è ormai di più sciocco che adgiarsi in chimeriche speranze di lavoro, ma vile è soprattutto passeggiare col destino raggomitolandosi in una supina rassegnazione. Se l’ora è giunta, essa venga. Il sole risplenderà comunque per gli altri! ⁃ –
Ma che pensi mai! Ma che dici mai! – proruppe Ninin sbigottita. ⁃ –
Dico e penso che gli uomini chiamano viltà un’azione assai eroica, forse perché essi stessi son vili…quando la vita corporale diventa un cencio…ebbene – urlò Massimo inasprito, cacciandosi le dita nei i capelli – se non c’è lavoro, devo forse mendicare! Devo forse rubare? Non vedi che questa miseria mi insulta? ⁃
Dopo la tempesta viene il sereno – implorò Ninin! ⁃
E il sereno sei tu – fece Massimo baciandola in fronte – e tu sei la mia gioia e la mia vita! ⁃ Grimaldi Gino
Novella Limite