recitava un tormentone del maestro Renzo Arbore del 1985.
All’epoca avevo undici anni e non avrei mai pensato che un giorno un così frivolo motivetto, associato ad un così complesso ragionamento, mi sarebbe tornato alla mente.
In questi ultimi anni, infatti, stiamo notando un cambiamento nei costumi, nelle abitudini e nei rapporti sociali della popolazione europea (e forse mondiale) che ha reso le nuove agorà – o più semplicemente le nuove piazze “moderne” – sono diventati i cosiddetti centri commerciali. Spazi in cui ad essere sempre stracolmi sono i corridoi che collegano una vetrina all’altra ma che, ad una più attenta osservazione, hanno proprio poco della loro natura commerciale.
Anche perché le persone hanno sempre meno da spendere, eccezion fatta per il settore tecnologia e telefonia che ha forse registrato l’unico dato positivo in questi anni di crisi. Si fa fatica a capire il perché tutti gli altri settori (o comunque la stragrande maggioranza) devono accontentarsi delle briciole che rimangono nelle tasche degli italiani e che, magari, da queste briciole decidono di attingere per spenderle proprio in uno di questi box che contornano i lunghi corridoi di questi centri ‘artificiali’.
Gli stessi che hanno soppiantato i centri storici di una volta dove ci si recava di certo anche per fare compere ma dove era tutto meno surreale e più umano. A far parte di questa nuova realtà c’è sicuramente anche la cosiddetta GDO, ovvero la grande distribuzione organizzata che vende prevalentemente cibo.
Quest’ultima ha concentrato all’interno dei suoi supermarket, superstore, megastore e iper tutto quello che una volta offrivano i “classici” negozi di una volta. Macellerie, pescherie, salumerie, frutta&verdura oltre che alimentari in genere si trovano all’interno di un unico mercato con l’utilizzo del self service. Il risultato positivo per l’utente è stato per parecchi anni quello di un abbassamento del costo della merce e la creazione di nuovi posti di lavoro, in aggiunta al fatto che si è anche cercato di offrire una sempre crescente qualità del prodotto e della gamma.
Tutto fino a quando il sistema ha cominciato ad assomigliare molto ad una catena di montaggio di una fabbrica, le professionalità hanno iniziato a pesare e si è pensato – per chissà quale motivo – che la mancanza di consumi potesse essere sopperita da nastri orari sempre più allungati, da aperture “selvagge”. Il tutto senza più nessuna considerazione alcuna per qualsivoglia festività come se ci fossero fantomatici consumatori impossibilitati a spendere per la limitata apertura dei nuovi format commerciali.
Tanti negozi o supermarket sforano già le dodici ore di apertura. Lo scenario che si sta delineando è surreale: se le persone non spendono si cerca, come una coperta corta, di usare sempre meno ore di lavoro nei negozi. Con un risvolto assurdo. Mentre questi negozi allungano sempre di più i propri orari di apertura, il personale diminuisce per i più svariati motivi e da anni non si verifica un consolidamento di nuovi posti e nemmeno il passaggio a tempo full time per chi lo richiedesse.
Egidio Lomellini